Come ottimizzare le attività di awareness è un problema annoso nel marketing perché a differenza delle attività a performance, non ci sono ritorni immediati e non vengono attribuite conversioni dirette. Non a caso è proprio la critica principale che viene mossa a questo tipo di campagne: il loro impatto è poco misurabile.
Significa che sono inutili? Significa che ti devi rassegnare a metterle a terra senza poterle misurare e di conseguenza ottimizzare?
La seconda domanda è il fulcro dell’articolo di oggi e, spoiler, la risposta è NO. Ti mostrerò come puoi misurare in diversi modi questo tipo di attività e di conseguenza come puoi ottimizzare nel tempo efficientando spending e distribuzione del budget sui diversi canali.
Sulla prima domanda invece evito di esprimermi perché l’importanza delle attività di brand awareness è un po’ l’assunto di partenza. Chiaramente non è qualcosa di adatto a ogni brand e se hai poco budget a disposizione probabilmente ti conviene concentrarti su attività a performance ma per le aziende che hanno raggiunto una certa maturità sono fondamentali.
Detto questo, ciancio alle bande, vado dritto al punto.
Sì dritto ma non troppo, perché devi prima di tutto essere ben consapevole di cosa intendo quando parlo di azioni di brand awareness.
Per me queste attività non si limitano allo spot in TV, la sponsorship all’atleta bellocio/a di turno o la cartellonistica con creatività discutibile nelle metro Milanesi. Per come le intendo io le azioni di brand awareness prescindono dal fatto di essere digitali o meno e possono avvenire anche su piattaforme che fanno della performance il loro pilastro principale.
Pensa semplicemente a campagne YouTube, a campagne su Meta in reach and frequency buying o al Take Over di TikTok.
Sono tutte attività che non hanno un obiettivo diretto di conversione ma che mirano ad aumentare in modo significativo la visibilità del brand e ad avere un impatto sulla sua riconoscibilità.
Tienilo a mente nel leggere le modalità con cui puoi misurare questo tipo di azioni che per me si dividono in 5 punti principali:
Vediamoli uno a uno.
Senza farla troppo complessa, la share of search è la metrica più immediata che puoi tracciare nel tempo per capire se le campagne di brand awareness stanno avendo un effetto o meno (chiaramente parliamo di medio/lungo periodo).
Essenzialmente esprime la quota di ricerche di un determinato mercato che contengono il nome del brand. Vale a dire, fatte 100 le keyword di ricerca che gli utenti compiono in un settore X, quante di queste contengono il nome del brand?
Tracciare la risposta nel tempo è un ottimo modo per avere un polso indiretto sulla notorietà di un brand in un dato settore. Se la quota di impression sale, significa che stai “guadagnando spazio” nella mente dei consumatori e che probabilmente le attività di awareness che stai facendo sono efficaci.
Il processo per calcolare la share of search è molto semplice:
Qui sotto un esempio molto basic per farti capire l’idea in modo pratico.
Per tirare fuori i dati puoi usare diversi tool come Semrush, Ubersuggest, Seozoom o direttamente anche Google Ads. A seconda di quello che scegli il processo è diverso ma il concetto di fondo è sempre lo stesso.
Scegli bene le keyword che utilizzerai perché devono essere un campione rappresentativo del mercato e monitora nel tempo l’andamento.
Hai presente i fastidiosissimi sondaggi di YouTube che ogni tanto ti chiedono se vuoi aiutarlo rispondendo a una semplice domanda ma non vuoi mai? Ecco, quei sondaggi vanno ad alimentare questo tipo di studio.
Sono disponibili su tutte le principali piattaforme di advertising come Meta, Google, TikTok, Spotify e simili. In alcuni, come per Google e Meta, hai la possibilità di gestirli in autonomia e il processo è abbastanza semplice:
Per il punto due solitamente hai diverse alternative ma dipende dalla piattaforma. In genere sono:
Non ti ammorbo con la descrizione di ognuna anche perché sono abbastanza intuibili ma lascia che ti dia un consiglio. Parti da Ad Recall e Awareness, le altre metriche difficilmente riuscirai a impattarle subito e il rischio di avere dei risultati non significativi a livello statistico è abbastanza alto.
A livello tecnico le piattaforme funzionano più o meno tutte allo stesso modo:
Un ultimo consiglio prima di passare al prossimo punto. Se confronti i risultati delle brand lift di due canali differenti tieni sempre d’occhio che a livello di reach e frequenza i due studi siano effettivamente comparabili.
Se su un canale raggiungi 10x il pubblico di un altro è normale che il livello di impatto sulle brand metrics rilevato sia minore perché probabilmente hai avuto una frequenza più bassa. Cerca quindi di non prendere decisioni in merito a quali canali usare solo da questo data point.
Su questo vado veloce perché ne ho già parlato in molti altri articoli anche di recente. Penso siano una delle azioni che per rapporto effort/beneficio dovresti sempre fare.
Essenzialmente si tratta di inserire in thank you page o di inviare per mail (meglio entrambi) ai clienti che acquistano per la prima volta una veloce survey che ti aiuti ad avere un data point aggiuntivo su quale sia il primo canale dove sono entrati in contatto con il brand.
Chiaramente non sarà una misura precisa al 100%. Soprattutto in settori dove il funnel di consapevolezza è molto lungo e arrivati alla fine la memoria delle persone, che spesso è pessima, porta a dei dati un po’ falsati.
Si tratta però anche qui di una misura che può comunque darti una mano a capire se le azioni sui diversi canali stanno funzionando o meno. Se da 6 mesi martelli duro su TikTok e la quota di persone che dichiara di averti visto lì per la prima volta non aumenta nemmeno di un piccolo singulto, probabilmente qualcosa non sta funzionando.
Quindi, imposta la survey e la delivery verso i first time buyer e monitora nel tempo come si muovono le risposte. Puoi usare un semplice Typeform o un Google Form. Come sempre però non ti basare solo su questo per prendere decisioni.
Su account maturi, affiancare campagne di upper funnel a quelle già stabili aiuta ad evitare problemi di reach nel medio lungo periodo e a mantenere una percentuale di first impression sana.
Questo si traduce in performance migliori e un’incrementalità maggiore. Questo chiaramente se tutto viene fatto in modo corretto. Ecco quindi che entrano in gioco gli studi di Conversion Lift e i classici A/B test.
Il funzionamento è simile a quello dei brand lift studies appena discussi ma in questo caso non ci sono questionari che vengono proposti all’utente:
Anche qui Meta, piuttosto che Google, andranno a dividere il target in due o più celle distinte e a deliverare le campagne solo al cluster di utenti che fa parte della cella corrispondente evitando quindi sovrapposizioni di audience.
Sono estremamente utili per capire se le attività di upper funnel hanno davvero un impatto a livello incrementale sulle conversioni e se stai quindi riuscendo a fornire assist utili alle attività di lower funnel.
Chiaramente, come già detto in partenza, questo tipo di attività ha senso per brand con un certo livello di spending e di maturità a livello di marketing. Altrimenti il rischio è di creare sovrastrutture dove non ce n’è bisogno.
Arriviamo all’attività forse più costosa e che consiglio solo se ti trovi a lavorare per una corporate o comunque aziende con un grosso budget marketing.
Se non ti è mai capitato di lavorare in queste condizioni, probabilmente non sai che esistono diverse società che si occupano di rilevazione di brand metrics. Gli studi disponibili sono diversi:
In Italia una delle migliori è sicuramente Doxa che ho potuto provare in prima persona. Ci sono poi anche altre società come Ales o Nielsen ma aldilà dei singoli player, questo tipo di studi essenzialmente sono la versione sotto steroidi dei brand lift studies.
Si tratta di sondaggi su panel che possono essere anche molto specifici di persone che restituiscono un quadro completo, e non limitato al singolo canale, della salute di un brand in termini di awareness e sentiment.
Il costo solitamente non è banale, soprattutto se vuoi fare diversi tipi di studi e portarli avanti con misurazioni successive nel tempo. Sono però un datapoint centrale per qualunque azienda di una certa dimensione e danno un’idea chiara del livello del brand e dell’efficacia delle azioni di brand awareness.
Prima di continuare, avrai capito che le possibilità di misurazione che ti ho appena raccontato prese singolarmente hanno diversi limiti. Per questo motivo sarebbe meglio usarne diverse in parallelo e avere quindi diverse prospettive.
Nel mulino che vorrei ecco il setup per me ideale:
Ovviamente non sempre è possibile quindi guardati dentro, fatti un esame di coscienza e prova a capire quale di queste cose ha davvero senso fare a seconda della dimensione della tua azienda e dell’effort che hai a disposizione.
Ora che hai una panoramica delle possibilità per misurare l’effetto delle campagne di awareness non ti resta che tenere a mente 3 cose per riuscire a ottimizzare gli investimenti:
Della prima già sai, ti parlo delle altre due.
Per avere un impatto sulla memorabilità di un brand le variabili in gioco possono essere diverse ma alla fine stringi stringi ci sono poche cose che contano davvero.
La prima è sicuramente la creatività che deve essere costruita in modo tale da attirare l’attenzione, inserire il brand in modo corretto e rimanere impressa nella mente di chi guarda.
Qui un consiglio veloce, anche se banale, è che statisticamente parlando i video hanno un impatto sulla memorabilità maggiore delle immagini statiche o del semplice audio. Questo perché sono chiaramente multisensoriali e per questo coinvolgono più parti della nostra memoria. Quindi quando hai la possibilità di farlo sceglili sempre rispetto a semplici immagini.
Le altre variabili fondamentali sono:
Tra queste, non avendo soldi infiniti, devi cercare di trovare un equilibrio. Una frequenza troppo bassa con una reach a target molto ampia si tradurrà in un impatto ridotto in termini di memorabilità. D’altro canto, una frequenza molto alta con una reach a target bassa potrà avere un buon impatto ma su un numero di persone troppo poco significativo.
Il difficile nell’ottimizzare le attività di brand awareness sta proprio qui.
Trovare il giusto equilibrio tra reach a target e frequenza per evitare di deliverare troppo o troppo poco sullo stesso cluster di persone. Tieni sempre a mente che la curva dei diminishing return vale anche nell’advertising e in modo importante.
Se poi al ragionamento aggiungiamo il fatto che le persone non le raggiungi solo su un singolo canale, ecco che le cose si complicano ulteriormente.
Misurare e ottimizzare reach e frequenza a target su una singola piattaforma non è semplicissimo ma nemmeno così complesso. La vera sfida è farlo cross canale.
Questo perché le stesse persone che raggiungi su Instagram le raggiungerai anche su YouTube, in TV o su Spotify. Ognuna di queste piattaforme ha dei tassi di sovrapposizione con le altre a seconda del tipo di audience e questa è una variabile fondamentale se vuoi efficientare le attività di awareness a 360 gradi.
Non fraintendermi, non esiste un modo preciso al 100% per misurare una frequenza aggregata cross canale. Potresti usare un Ad Server, un AMR di turno o Smartly e simili ma non avrai mai una sicurezza.
Non ho per te una risposta certa su come fare. E’ un problema al quale sto ancora lavorando anche io. Quelli che ti ho citato sono tutti strumenti utili e che possono darti una mano ma per un motivo o per l’altro credo che ognuno di loro abbia dei limiti.
Potrei cambiare idea col tempo ma a mio avviso ci sono due strade che vale la pena esplorare ed entrambe si basano sulla creazione di modelli.
Il primo è una pura idea che andrebbe testata e che richiede molti dati di partenza non facilissimi da recuperare in maniera costante e soprattutto rigorosa. La seconda è già una realtà e ne ho parlato più volte in vari articoli, ti lascio qui, se sei curioso, quello che avevo dedicato al tema circa un anno fa.
Direi che è il momento di tirare le somme. Arrivato fin qui avrai capito che non c’è un unico modo per misurare e ottimizzare le attività di brand awareness (spero se no è grave). Esistono diverse possibilità da esplorare ma il mio consiglio come sempre è di adottare un approccio incrementale.
Chiaramente, questo se per la tua azienda ha senso. Ripeto: non sono attività che hanno senso per tutti i business e non sono la cosa da cui dovresti partire. Arrivati a una certa dimensione diventano però fondamentali per riuscire a fare il passo successivo.
Direi che anche per questo giovedì è tutto. Se hai dubbi o domande scrivimi, mi farà piacere aiutarti!
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